Violenza assistita dai minori

Violenza assistita dai minori

LE MINORI E I MINORI TESTIMONI DI VIOLENZA

Già nel 2006 le Nazioni Unite calcolavano che tra i 133 e i 275 milioni di bambini e bambine nel mondo ogni anno erano testimoni di violenza in famiglia.

Il nostro CAV, non si occupa direttamente di/delle minori che spesso però accompagnano le madri che si rivolgono al Centro. Sono i Servizi Sociali comunali che prendono in carico bambini e bambine che vivono in situazioni familiari difficili. È importante, però, conoscere a fondo le dinamiche familiari violente a cui sono esposti quotidianamente bambini/e e capire gli effetti a breve, medio e lungo termine che si ripercuoteranno, inevitabilmente, sul loro sviluppo psicofisico. In situazioni di violenza l’equilibrio fondamentale nel rapporto madre-figlio/a viene alterato in seguito al trauma subito da entrambi e spesso, invece di comprenderne le cause, si stigmatizzano le madri come ”cattive madri” e i/le minori, già problematici in seguito alla violenza subita o assistita, vengono allontanati dall’unica loro fonte di sicurezza affettiva. Madri e bambini/e subiscono una ulteriore violenza da questa separazione. Il percorso offerto dai CAV alle donne per uscire dalla violenza è teso anche a ricostruire la relazione madre-figlio/a.

“Accogliere i/le bambini/e e i giovani e le giovani che hanno assistito a scene di violenza in luoghi protetti e sicuri lontani dalla violenza assieme alle loro madri, e lavorare per costruire un nuovo “nucleo familiare” è il primo passo per favorire la loro reale inclusione nella società e creare le basi per uno sviluppo futuro non violento”. (da Pangea: Una barriera per fermare l’effetto domino della violenza domestica sui minori: esperienze e linee guida. 2014)

L’esposizione frequente dei minori e delle minori a diverse forme di violenza in famiglia, può seriamente comprometterne il benessere, lo sviluppo personale e l’interazione sociale, nell’infanzia e nell’età adulta. Il messaggio distorto che viene appreso è che l’abuso è normale, è accettabile e ciò crea un effetto domino della violenza. Crescendo, infatti, i/le minori che sono stati/e testimoni e hanno vissuto la violenza sono maggiormente esposti/e a sintomatologie post-traumatiche e a problemi relazionali rispetto a quelli che non hanno sperimentato tali situazioni. Soprattutto, una volta diventati/e adulti/e, c’è un maggior rischio di perpetuare la violenza, agendola o subendola.

La violenza assistita, che va considerata come una delle forme che assume la violenza domestica sulle donne, è ancora un fenomeno sommerso e terreno in cui è difficile agire; infatti, rispetto ad altre forme di abuso sull’infanzia, è un tipo di maltrattamento che può essere rilevato solo come effetto, previo riconoscimento della violenza sulla persona adulta che convive con il minore e ne è il punto di riferimento affettivo.

DEFINIZIONE DI VIOLENZA ASSISTITA

“… L’esperire, da parte del bambino e della bambina, qualsiasi forma di maltrattamento compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative, adulte o minori”. Questa la definizione data nel 2000 dal C.I.S.M.A.I. (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia).

Viene incluso quindi anche l’assistere da parte del/della bambino/a a violenze di minori su altri minori e/o su altri membri della famiglia, o ad abbandoni e maltrattamenti ai danni di animali domestici.

Sono incluse anche quelle situazioni in cui i/le minori continuano ad essere esposti alla violenza dopo che i genitori si sono separati; frequenti sono le situazioni dove l’interazione violenta continua durante le visite, o dove i/le minori sono usati e manipolati per controllare e ferire la madre.

Spesso gli adulti e le stesse madri, pensano che quando i/le bambini/e dormono, giocano o sembrano distratti, non vedano e non sentano quel che accade intorno a loro. Niente di più lontano dalla realtà: i bambini e le bambine, anche appena nati/e, sono sensibili e recettivi a qualsiasi tipo di stimolo, percepiscono lo stato emotivo materno. Un/una bambino/a è in grado di cogliere i lividi sulla madre, la tristezza e il dolore, dunque può fare esperienza della violenza sia in forma diretta, se è nel suo campo percettivo, sia in forma indiretta, quando ne percepisce gli effetti.

GRAVIDANZA

A volte il concepimento stesso è frutto della violenza perché:

  • la gravidanza può essere “imposta” come mezzo per assoggettare la donna
  • spesso la violenza fisica si conclude con la violenza sessuale che può portare a gravidanze indesiderate
  • la donna pensa di sanare un rapporto infelice con un figlio o una figlia

La violenza sulle donne si presenta durante la gravidanza più spesso di quello che si immagina, causando danni sul feto (5% interruzione di gravidanza, 15% parti prematuri, 16% minacce d’aborto, 7% malformazioni).

Sul feto la violenza agisce mediante un’azione diretta del trauma addominale e un’azione indiretta, mediata dallo stress, che determina il rilascio di catecolamine, vasocostrizione e ipossia fetale. Inoltre già dalla diciassettesima settimana, il cortisolo (definito “ormone dello stress”), è in grado di attraversare la placenta, trasmettendosi al feto.

DOPO IL PARTO

Molte ricerche (Cascardi, M. et al. 1999) evidenziano che tra il 38% e l’83% delle donne maltrattate soffre di depressione e i tassi di suicidio e autolesionismo sono alti così come la dipendenza da alcol e da altre sostanze è maggiore nelle donne vittime di violenza (Galvani, S. 2005). Una donna maltrattata è dunque una persona sofferente, traumatizzata, confusa, molte volte apatica e passiva, che si sente insicura e inadeguata, con forti sensi di colpa e vergogna. In tale situazione come potrebbe avere le energie necessarie da dedicare al figlio o alla figlia? Subire violenza potrebbe disturbare o interrompere l’intenso rapporto tra madre e figlio/a a partire dall’allattamento, che ha un significato nutrizionale ma anche di relazione e rassicurazione. La relazione con la madre fonda le basi per la fiducia e apertura al mondo. La violenza assistita provoca un danno al bambino e alla bambina in tutte le fasi dello sviluppo; il/la minore si sente sicuro/a e protetto/a se percepisce i propri genitori come figure forti, ma se una madre è svalutata, insultata, ingiuriata, il suo ruolo si indebolisce e non può rappresentare la figura autorevole e forte in grado di tutelare e guidare la prole.

IL CICLO DELLA VIOLENZA

Le tre fasi del ciclo della violenza, come descritto da Walker nel 1979 riferendosi alle donne abusate è lo stesso per i/le minori, e provocano nel bambino e nella bambina delle gravi conseguenze.

Nella fase dell’accumulo di tensione, il/la minore ha la percezione del pericolo imminente, cerca di tenere sotto controllo la situazione ed è attanagliato/a dall’ansia. Impara ad adeguarsi alla situazione di pericolo (repressione dei propri sentimenti e bisogni). Nella fase dell’esplosione della violenza reagisce scappando, nascondendosi, cerca di calmare o distrarre il padre, si aggrappa alla madre è in preda al terrore, teme le conseguenze della violenza sulla madre, ha paura dell’abbandono. Nella fase della riappacificazione è confuso/a, gli è difficile capire come mai quel padre che poco prima aveva seminato il terrore, ora appare calmo e pentito. L’alternanza continua tra momenti di angoscia e terrore e di apparente tranquillità sviluppano un senso d’insicurezza, ansia e rabbia. Spesso i bambini e le bambine etichettati come “iperattivi” “depressi “, con “disturbi dell’attenzione” in realtà sono figli/e della violenza.

La violenza maschile sulle donne assistita dai figli e dalle figlie provoca in loro:

·        tristezza, angoscia, depressione

·        confusione: il senso di lealtà verso i propri genitori si trasforma in un conflitto interno tra il desiderio di proteggere la madre e il rispetto o terrore verso il padre

·        paura e ansia alternate nell’attesa del successivo episodio di violenza

·        senso di colpa e senso di impotenza

·        rabbia con scarso controllo degli impulsi: a volte precipitano a maltrattamenti di “ piccolo taglio” (maltrattamenti o uccisione di animali, maltrattamento dei fratelli più piccoli o dei compagni di scuola)

·        perdita della fiducia sia negli adulti che in se stessi: la mancanza di fiducia si trasforma anche in difficoltà ad immaginare un futuro diverso

·        difficoltà scolastiche sia in termini di apprendimento sia come conseguenza dei loro disturbi comportamentali. Spesso la paura di lasciare la casa/madre non protetta comportano una riduzione della frequenza scolastica

·        disturbi comportamentali: possono assumere atteggiamenti aggressivi, iperattivi e auto o etero distruttivi

·        disturbi del linguaggio

·        disturbo nel controllo degli sfinteri

·        difficoltà relazionali all’interno della famiglia e nella vita sociale

·        maggiore rischio di suicidio o di tentativi di suicidio o pensieri di omicidio del genitore e genitrice

·        comportamenti devianti, tossicomanie, alcolismo

·        (nei maschi) la tendenza a riprodurre i comportamenti violenti del padre: “ bullismo” con i compagni, comportamenti violenti con la madre, con gli amici e con le ragazze

·        (nelle femmine) comportamenti passivi e remissivi, alto rischio di essere vittime dei loro partner, di fughe da casa e gravidanze precoci da “Linee guida per l’intervento e la costruzione di rete tra i SS e i CAV” a cura di D.i.Re

In alcuni casi si può sviluppare anche una sindrome postraumatica da stress complessa (Herman J. 2005) con i tipici disturbi di ipervigilanza, presenza di pensieri intrusivi e intorpidimento mentale